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La La Land

 

da domenica 10 a  venerdì 15 dicembre 2017

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LA  LA  LAND

REGIA DI DANIEL CHAZELLE

 

“Chissà perché nessuno aveva mai pensato a un titolo come La La Land, geniale, semplice e leggero. In quest’era grave e spesso perduta nella ricerca della (sciocca) leggerezza del riflusso postmoderno anni ‘80, il musical del trentaduenne Damien Chazelle, al suo terzo lungometraggio, cerca di rivitalizzare una vecchia tradizione (la leggerezza della modernità, precedente al vuoto postmoderno) e in parte ci riesce davvero felicemente. Ma il titolo non dice solo che siamo nel mondo di un motivetto musicale, sempre sulla china dello scivolamento nel fatuo e nel vacuo. Più sottilmente (e quindi un po’ più profondamente), ci dice anche che siamo a L.A., a Los Angeles, e Hollywood (e quindi il musical) abitano da quelle parti. La la land è girato in gran parte in luoghi reali, come accadeva nel magnifico musical di Robert Wise West side story (1961), e la città è la vera protagonista (sognata) del film, nella sua instabilità dolce, ma priva della nevrosi da videoclip o da spot del cinema postmoderno, pur essendo in gran parte fondato sulla velocità di regia e montaggio (…) Emma Stone e Ryan Gosling, le due star e in pratica gli unici personaggi del film, sono molto bravi (Gosling, del resto, oltre che attore è anche musicista, e buon conoscitore sia del musical sia della storia del cinema), essenziali nel restituire qualcosa di questo evanescente quanto onirico cinema del passato. Così evanescente, eppure così persistente. Se è vero che si pensa a tutto il musical degli anni cinquanta, il già citato West side story, ma anche Un americano a Parigi di Vincent Minnelli (1951), o Cantando sotto la pioggia (1952) di Stanley Donen, o ancora È nata una stella (1954) di George Cukor (…). Si può anche pensare, risalendo la cronologia del musical, alla coppia perfetta, davvero quasi divina, di Fred Astaire e Ginger Rogers o ai tanti film di Busby Berkeley (…) Chazelle, americano di origini francesi (dal lato paterno), proveniente dal cinema indipendente, è un regista che vede infatti la storia del musical come uno dei terreni di sperimentazione cinematografica più fecondi e alti offerti da Hollywood. Questo ovviamente non solo grazie a Berkeley, perché tendenze all’astrazione si possono trovare in tanti musical successivi, come Un Americano a Parigi. Altrettanto figlio della cinefilia che trova proprio in Francia una patria agguerrita, Chazelle rimanda prepotentemente a un altro regista come il francese Jacques Demy, ai suoi splendidi film degli anni sessanta come Les demoiselles de Rochefort (1967, da noi noto come Josephine) e il capolavoro Les parapluies de Cherbourg (1964). La la land è sul crinale tra la gioiosità invasiva del primo e la nera malinconia pervasiva del secondo, due film paradigmatici dell’anima duale di questa pellicola, che riassumono la dualità insita nell’intera storia del musical.”

(Francesco Boille, da Internazionale.it)

 

roberta braccio

domenica pomeriggio

Un film piacevole che in generale piace per il suo stare sospeso, in equilibrio tra leggerezza e sostanza. Che poi è anche il motivo per cui non a tutti piace, il suo essere facile e piacione. Se peró si considera la difficoltà e le competenze che un musical richiede, e un finale non originalissimo ma certamente non prevedibile, il film è molto più complesso e ricco di quanto possa sembrare.

giulio martini

domenica sera

simpaticissima riesumazione di un genere fatto solo per sognare, celebrando e rielaborando in chiave pop  vari musical, ma soprattutto - nel finale - "Un Americano a Parigi.                             Qui i due provinciali a Los Angeles/Hollywood  sono impegnati a far  nascere le loro piccole stelle nel  Planetario del cinema, incerti  su come  dare una svolta ( l'uscita  in autostrada ?)  alle loro  vite  zeppe di  provini  e di ingorghi emotivi.  Con un ambiguo  finale "a doppio  anello"  la storia  sembra dire:  suoniamo ancora al nostra canzone, come nel citatissimo  Casablanca , di cui i due  nuovi giovani attori, sono un  Borgart ed una Bergman in miniatura, ma incapaci del loro drammatico maturo eroismo.

angelo sabbadini

martedì sera

Si scrive Damien Chazelle ma si pronuncia Jacques Demy. Infatti è quest’ultimo a dettare tempi, colori e atmosfere del musical rivelazione La La Land. E il film diventa così un commosso e colorato omaggio al grande e dimenticato Demy. Se avete qualche dubbio correte a rivedervi Les Parapluies de Cherbourg, premiato con la palma d'oro al festival di Cannes e fateci sapere…

carlo caspani

mercoledì sera

Chazelle ama la musica, il jazz, il cinema, il musical: ecco quindi un film  da appassionato, zeppo di riferimenti visivi e filologici precisi e raffinati (quelli del regista, addirittura, sono due musical francesi di Jacques Demy, ed è tutto dire). Se sirte dei puristi nostalgici, o se cercate profondità psicologiche dei personaggi riservate a ben altro cinema del passato, lo troverete un film citazionista, o banale, o entrambe le cose. In realtà LaLaLand è un film d'amore, per la musica e per i luoghi prima che per i due protagonisti, dove il cuore e il beat battono forte, fortissimo, soprattutto negli ultimi sette minuti

roberta braccio

giovedì sera
 

 

giorgio brambilla

venerdì

sera

Chazelle mette in scena un musical con attori che non sono ballerini e cantanti professionisti, e lo fa finire in modo diverso da quelli “classici”. Quello che vediamo è insieme un atto d’amore al genere, che si coglie anche nelle sequenze d’insieme come quella iniziale sull’autostrada, e una dichiarazione di consapevolezza che ormai siamo troppo disincantati per poter riproporre i film del periodo d’oro del cinema; esattamente come non è più il momento per il tipo di Jazz che piace a Seb, che può aprire un locale nel quale fare la musica che vuole, ma non potrebbe fare nulla di più in grande. Il regista ci fa poi anche riflettere su quanto sia difficile conciliare la propria vita professionale con quella privata, dicendoci che è importante sognare, ma che si deve anche accettare la realtà per quello che è. È già di suo un film molto buono, ma considerato che si tratta dell’opera di un trentenne, la mano sicura con la quale porta avanti la narrazione risulta ancora più pregevole