da domenica 22 a venerdì 27 ottobre 2017
IL CLIENTE
REGIA DI ASGHAR FARHADI
“Se in Le passé Farhadi aveva abbandonato, per via delle contingenze produttive, il contesto sociale iraniano per dedicarsi a un film di pura narrazione, dove tra l’altro si arrivava a vertici tali di perfezione geometrica da far pensare a una sorta di saggio sul raccontare, in Il cliente recupera la dimensione della polemica morale verso il suo paese e verso i suoi personaggi – che era caratteristica dei titoli che gli hanno dato il successo internazionale, About Elly e Una separazione. Al centro del film vi è una coppia di giovani rappresentanti della classe media di Teheran, Emad e Rana, due attori che stanno portando in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Il gioco di specchi che Farhadi istituisce tra il teatro e la vita dei suoi personaggi è decisamente personale e tutt’altro che fine a se stesso: i due piani del discorso si alimentano in maniera vicendevole, fino ad arrivare al confronto tra i due palcoscenici, quello pubblico di una rappresentazione classica, e quello privato, che si svolge nell’appartamento disabitato (…) E, ritornando nel contesto del suo paese, Farhadi fa anche di più, perché ci parla del ruolo nell’intellettuale in una società come quella dell’Iran contemporaneo. I teatranti di Il cliente, infatti, si compromettono con il potere e con la sua arma più subdola, la censura: accettano di far apparire in scena una donna vestita mentre nel dialogo dice di essere nuda, e non si negano alla richiesta di un ulteriore incontro con i rappresentanti dello stato per eliminare dei passaggi del testo ritenuti ‘scomodi’. Compromettersi a livello artistico è del resto un atto che degrada e digrada anche nella vita privata. E infatti Amed, sia pure in maniera solo apparentemente scollegata rispetto alla sua compromissione, comincerà a cambiare natura, a temere ad esempio a proposito della moralità di sua moglie, a nascondere i suoi movimenti alla legge per farsi lui stesso legge e potere.”
(Alessandro Aniballi, da quinlan.it, 5 maggio 2016)
marco massara
domenica pomeriggio
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Non ci sono solo crepe nei muri, ma altre fratture potenziali restano in attesa di esplodere in una società in cui le istituzioni sono assenti, le contraddizioni sempre presenti (la rappresentazione del dramma di Miller) e che suggerisce se non costringe a farsi giustizia da sé . Un percorso a cavallo tra delitto, castigo, vendetta e pietà, purtroppo un po’ rovinato da una eccessiva lungaggine della sequenza finale che però intelligentemente lascia molti punti aperti. Non si può restare indifferenti allo scambio di sguardi mentre i protagonisti indossano il trucco, non solo per andare in scena , ma per mascherare la frattura che si infiltrata nel loro rapporto.
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giulio martini
domenica sera
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splendido mix con spezie persiane di due "generi " e "sottogeneri" occidentali, il thriller e il rape and revenge, per renderci partecipi delle turbolenze emotive e culturali che agitano l'Iran contemporaneo. Dominano la vergogna pubblica, il super controllo e la costante censura messa in atto dal pensiero unico islamista. Ma il regista aggira e prende in giro i tabù sessuofobici anti - femminili del Regime "velando" ironicamente la prostituta di Miller e "nascondendo " la scena madre ( con un rinvio implicito a Psyco...) dell'inchiesta. La tensione crescente tra moglie e marito per l'atteggiamento da tenere verso il Cliente ( una volta tanto il titolo nostrano è meglio dell'originale) sguazza tra regole ancestrali, pulsioni sempre più feroci ( non casuale il riferimento doppio al mitico film iraniano "The cow" amato da Komeini ) per suscitare dubbi, stupori e interrogativi che il pubblico si trascina a lungo oltre la sala. Girato e e recitato con maestria. Oscar giustissimo. |
angelo sabbadini
martedì sera
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“Come ci si trasforma in un animale?” si dice programmaticamente nell’incipit del Cliente: Farhadi nello sviluppo del suo implacabile film dimostra magistralmente l’assunto di partenza, confermando in pieno il suo innegabile talento. Nell’epilogo dell’opera siamo tutti prigionieri nello spoglio appartamento di Teheran e viviamo sulla nostra pelle un riuscito esempio di cinema della crudeltà senza nessuna possibilità di consolazione |
carlo caspani
mercoledì sera
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Cinema disturbante quello di Farhadi: formalmente in linea con i dettami dell'occhiuta censura iraniana (quell'invocazione a Dio nei titoli di testa...), usa la reticenza e la simmetria delle situazioni (finzione in teatro e vita reale) per descrivere una società soffocante e soffocata, tra senso arcaico dell'onore, possesso della donna come bene di pertinenza maschile, violenza sotterranea a tutti i livelli in un'apparente "libertà" che alla fine non lascia scampo ai protagonisti, con o senza vendetta. |
giulio martini
giovedì sera
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giorgio brambilla
venerdì
sera
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Asghar Farhadi costruisce un film complesso che, attraverso i riferimenti a “Morte di un commesso viaggiatore” e a una progressione drammatica sapientemente costruita, ci fa immergere nei panni del protagonista, Emad, e cogliere il suo progressivo trasformarsi in animale. Questo membro colto della classe media iraniana all’inizio è assai comprensivo verso il suo prossimo, come la signora che in taxi lo accusa ingiustamente; poi, spinto forse dallo sguardo dei vicini e da un arcaico senso dell’onore ferito, più che dall’amore per la moglie, diventa sempre più crudele, infierendo sintomaticamente dapprima sull’alunno che si era preso gioco di lui, poi sul molestatore di Raana, che il regista disegna con sapienza come un uomo tanto insignificante da non giustificare, nonostante tutto, la spietata vendetta del protagonista. In questo modo il testo, senza darci dettagli che magari vorremmo anche conoscere (di quale violenza è stata vittima davvero la moglie? Il venditore alla fine muore o riesce a salvarsi?) ci mostra quanta violenza c’è dentro ciascuno di noi, raggiungendo un’universalità e una profondità caratteristiche delle grandi opere |