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L'uomo che vide l'infinito

 

da domenica 15 a  venerdì 20 ottobre 2017

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L'UOMO CHE VIDE L'INFINITO

REGIA DI M. BROWN

 

La figura del genio solitario, precoce, e spesso fuori dagli schemi, continua ad affascinare il mondo del cinema. Diverse pellicole hanno raccontato le biografie di grandi scienziati che con le loro intuizioni hanno anticipato i tempi, favorendo enormi balzi in avanti della conoscenza. Dopo i biopic The Imitation Game, sul matematico inglese Alan Turing, La Teoria del Tutto, sulla vita del celebre cosmologo studioso dei buchi neri Stephen Hawking, e A Beautiful Mind, sul matematico John Nash, il 9 giugno 2016 esce nelle sale italiane L’uomo che Vide l‘Infinito, la storia del matematico indiano Srinivasa Ramanujan, uno dei più grandi del Novecento, morto di tubercolosi a soli 32 anni, nel 1920. Una pellicola definita dalla rivista Scientific American “una sorta di storia d’amore matematica”. L’omaggio a uno studioso, “un intelletto imperscrutabile e un cuore semplice” secondo Kanigel, che per le sue geniali capacità matematiche ricorda il protagonista del film Will Hunting, genio ribelle, di Gus Van Sant. Ramanujan, infatti, partendo da un piccolo e povero villaggio indiano del Tamil Nadu, nel cuore dell’India meridionale, è riuscito a formulare teorie matematiche che affascinano gli esperti da un secolo. Ancora oggi gli scienziati restano stupefatti di fronte alla bellezza delle sue formule. Innamorato della matematica, il giovane studioso indiano la considera un dono divino, attribuendo le proprie intuizioni matematiche alla dea indù Namagiri, la divinità domestica della sua famiglia, che appartiene alla casta brahminica. Ramanujan, riferendosi al proprio lavoro, era infatti solito affermare: “Un’equazione non ha alcun significato per me, se non esprime un pensiero di Dio”. “La vicenda di Ramanujan costituisce un unicum nella storia della matematica degli ultimi cento anni – afferma Claudio Bartocci, che insegna matematica all’Università di Genova. Sostanzialmente autodidatta, isolato dal punto di vista economico e culturale dalla comunità scientifica, senza avere a disposizione che qualche antiquato manuale occidentale, il giovane studioso indiano ha, infatti, ripensato in maniera originale i fondamenti dell’analisi matematica. Si può considerare un maestro dell’infinito – spiega Bartocci – per la sua capacità di immaginare delle serie convergenti”. L’eredità di Ramanujan è contenuta in alcuni taccuini fitti di formule, quasi sempre prive di dimostrazioni, ritrovati in circostanze fortunose e pubblicati solo molti anni dopo la sua scomparsa.

roberta braccio

domenica pomeriggio

Un film di impianto talmente classico che potrebbe sembrare imbalsamato, vanta peró una storia straordinaria ed affascinante, che per molti è tutta da scoprire. Gli attori poi sono pezzi da 90 e rendono il film godibilissimo. Sará anche cinema di intrattenimento, ma ci riesce bene e offre anche spunti interessanti di riflessione (il confronto culturale e l'indubbio disequilibrio di potere).

giulio martini

domenica sera

dignitosissima opera di divulgazione culturale tra  scienza e  confronto  etnico. La matematica è un'opinione ? Forse si, come  molti oggi sostengono, dopo il crollo dei "Fondamenti" di inizio '900.  Ma il film insiste di  più sulla  differenza tra la mistica sensibilità indiana ( già scopritrice dello  Zero e dunque  dell'infinito vuoto) e le paure dell'Occidente che preferisce  il rigorismo interno alle dimostrazioni, che partano da Assiomi, per quanto dubbi... Tra i tanti film sugli scienziati/geni degli ultimi tempi il più tenero, con un protagonista meno presuntuoso, scorbutico o pazzo. Evidenti le  lacune nella descrizione del  mondo  tamil di provenienza.  Recitazioni buone, regia molto tradizionale.

angelo sabbadini

martedì sera

Perché utilizzare artisti formidabili come il direttore della fotografia Larry Smith (formatosi con Kubrick), la scenografa Luciana Arrighi (premio oscar per Casa Howard), l’attore Jeremy Irons e location d’eccezione (Trinity College) per partorire un piatto film biografico? La risposta la fornisce in modo fin troppo esplicito lo sconosciuto regista Matthew Brown che decide di trasformare lo straordinario plot a disposizione in un biopic didascalico in pronta consegna a qualche munifico network televisivo.

carlo caspani

mercoledì sera

Cinema di genere, ancora con un matematico come protagonista. Questa volta, però, la figura del misconosciuto matematico indiano Ramanujan permette di aggiungere, al classico tema dell'incomprensione del genio di fronte all'establishment, ulteriori riflessioni su razzismo, spiritualità, multiculturalità, perfino sull'annoso problema delle suocere gelose della nuora. Sarebbe troppa roba, ma a salvare il film c'è soprattutto la recitazione "british" di buona parte del cast. Un cenno di Jeremy Irons, un sopracciglio inarcato di Stephen Fry o Toby Jones salvano l'atmosfera del film e scongiurano il pericolo di un polpettone al curry.

rolando longobardi

giovedì sera
 

Pur restando all’interno di un regime stilistico classico e a tratti didascalico sia nella narrazione che nella scelta estetica delle inquadrature, matt Brown riesce nel suo presunto intento di raccontare non una ma due vite che s’intrecciano indissolubilmente e senza bisogno di ulteriori e razionali dimostrazioni. Due mondi che s’incontrano e che finiscono per scardinare le “formule” comunemente accettate. L’intento, a mio avviso, è quello di lasciare che lo spettatore alla fine si domandi quale dei due uomini ha visto realmente ( forse nello sguardo dell’altro) l’infinito.

giorgio brambilla

venerdì

sera

Il film di Matt Brown ha sicuramente alcuni punti di forza: si avvale della recitazione di ottimi attori, illustra bene il rapporto tra due uomini così diversi per cultura e modo di ragionare come Ramanujan e Hardy e ha la sincera e meritevole intenzione di far conoscere al grande pubblico una delle menti più geniali, e meno note, di tutti i tempi. Ha anche, però, alcune significative debolezze: prima di tutto sfonda una porta aperta, rievocando il razzismo inglese, lo snobismo degli accademici e la capacità di condizionamento delle ideologie, religiose o atee, orientali od occidentali che siano, temi già stravisti; poi tesse l’elogio della genialità contro l’aridità occhiuta dell’accademia, ma è un testo che più accademico non si potrebbe. Insomma, non è brutto, ma un film riuscito è fatto in un altro modo