Le Crociate
 

 

La Febbre
Nome e Cognome: Francesco Rizzo
Email: genoa70@hotmail.com
Voto:
Commento: Come un pifferaio magico della pubblicita' (il regista Alessando D'Alatri) vede il mondo dei giovani che, dal lavoro in su, vogliono riuscire ad 'apparecchiare la loro vita', per rubare un brano citato nel film. Ma ha il sapore di tappo tipo-Carosello il mondo raccontato da D'Alatri, ben diviso fra buoni con la faccia da buoni, cattivi con la faccia da cattivi e macchiette di contorno, con la frutta fuori stagione, i cani da spot che si perdono lungo la strada, l'amore davanti al camino nei cascinali e via cosi', cinema leggero e veloce come quella macchina da presa che non si ferma mai. Si fanno ricordare le soluzioni di regia che mescolano realta' e immaginazione, certe giunture creative fra una scena e l'altra ma si fa dimenticare in fretta il qualunquismo sull'italiano deluso che restituisce la carta di identita' e che si rifugia nel cascinale, sogno di tanti, di troppi, falsa uscita dagli schemi, invito si' a credere in se stessi e nelle proprie capacità ma troppo facile.
 e quando poi si esce dal cinema. Viene in mente Nanni Moretti che in 'Bianca' chiede a un'amica: 'Te lo ricordi quando mi parlavate di quella grande casa di campagna in cui non ci saremmo lasciati mai, in cui avremmo dovuto vivere tutti insieme? Sono anni che volevo chiedertelo: eravate pazzi?'.
Sì, e' sacrosanta la frustrazione del protagonista che si sente lasciato ai margini, non capito, non fatto fiorire, come Baggio quando doveva obbedire agli schemi del Sacchi di turno, ma il finale e' una non-soluzione, e' una caramella al miele, la realtà e' ben diversa fin dal particolare che tra scegliere fra un lavoro fisso e un'impresa con gli amici c'e' di mezzo, semplicemente, non poter scegliere nessun lavoro (vero, garantito, serio). E comunque, ad ogni buon conto, l'ex-geometra diventa architetto. Una laurea fa sempre comodo, metti che domani torno in citta' e apro uno studio.

Nome e Cognome: Fabio Pea
Email: fabio.pea@aem.it
Voto:  
Commento: ....e bravo D'Alatri. Non solo ha rinunciato all'idea di fare film sociali (vedi il bel "senza pelle") o sentimental/religiosi (i vangeli apocrifi de " I giardini dell'eden"), ma oggi ci ri-propone (o ri-propina) la faccia da "raviolotto di zucca" dell'incapace Volo per supportare questo mediocre pistolotto anarchico. E le 2 battute che entreranno di prepotenza nella storia del cinema sono rispettivamente: del presidente "veramente buona questa birra italiana" e dello stesso Mario Bettini "Mio padre con i suoi soldi ci ha fatto ciò che ha voluto". Complimenti per il successo al botteghino (e quindi al suo conto personale in banca). Neppure la bellezza spaziale di Valeria Solarino nè le splendide canzoni dei negramaro ci aiutano a resistere fino alla fine. ....E bravo D'Alatri. Operazione riuscita. Voto? sottozero!

Nome e Cognome: Riccardo Moretti
Email: riccardo.moretti-9756@poste.it
Voto:  
Commento: Mi spiace dirlo ma uscendo dalla proiezione de La febbre mi sentivo quasi irritato. Certamente, Fabio Volo è simpatico, il ritmo da commedia scorre piacevolmente e Cremona è una città che non si vede mai al cinema. Tuttavia, riflettendo lucidamente sui protagonisti non posso che trovare questo film scorretto e presuntuoso. Ma come E' POSSIBILE che un giovane di questi tempi si possa permettere il lusso di rifiutare un posto FISSO, dedicandosi piuttosto ad un'attività in campo artistico, e arrivi addirittura ad essere indignato con lo STATO? Le risposte sono due: o io non mi sono reso conto che La febbre di D'Alatri è un film di fantascienza; oppure siamo in presenza dell'ennesimo film cerchiobottista, comprensivo di finale agreste da Mulino Bianco.
In sala si citava Il Cappotto di Lattuada...

 


 

Million Dollar Baby

Nome e Cognome: Maurizio Careggio
Email: infinito49@libero.it
Commento:  Una donna gravata da trascorsi anni complessi e penosi, segnati da esperienze umilianti, avverte prima che sia troppo tardi il desiderio insopprimibile di un cambiamento esistenziale e di un riscatto sociale.

Alimentando quotidianamente una volontà esemplare che suscita ammirazione e affetto in un ambiente, la boxe, usualmente precluso alle donne, giunge finalmente a concretizzare con successo le sue aspettative tanto fortemente agognate quanto di oggettiva difficile realizzazione.

Malignamente il disastro incombe e presto si materializza nel suo corpo che la costringe ad un totale e cosciente immobilismo.

Pur nello strazio devastante e irreversibile che ciò comporta ci sarà ancora tempo per affinare ulteriormente la sensibilità dei protagonisti e per fare chiarezza dei loro sentimenti.

La volontà, l’umanità e una sorta di discussa pietà moderna sono i contenuti che offrono numerosi spunti di riflessione.

Le ampie capacità narrative del regista, la perizia coinvolgente degli attori e la robusta struttura dell’impianto sono la forma che meglio può presentarli.

Questo di Eastwood è cinema! con buona pace dei vari Boulmetis, Akin, Bechiche, KarWai e compagnia balbettando.

 

 

Un Tocco di Zenzero

Nome e Cognome: Angelo Sabbadini
Voto: 6 al film, 10 allo zenzero

Commento: Più che il film (stenterello) poté lo zenzero (terapeutico) e dunque, a grande richiesta dei visionari del martedì sera, ecco la ricetta dei biscotti allo zenzero, esibiti nell’operina del volenteroso Tassos Boulmetis:

Ingredienti:
400 gr. di farina 00 – 200 gr. di zucchero – 50 gr. di nocciole tritate finissime – 200 gr. di burro morbido – due uova intere – una punta di lievito per dolci – un pizzico di sale – due cucchiaini di zenzero in polvere.

Preparazione:
Montare bene le uova con lo zucchero. Setacciare la farina con lo zenzero, un pizzico di lievito, le nocciole ridotte in farina e il sale. Versare sul piano l’insieme d’ingredienti secchi, aggiungere il composto di uova e zucchero e il burro a pezzetti. Impastare con le mani e lasciare riposare nel frigorifero per mezz’ora circa. Stendere con il matterello, dare le forme volute e disporre su una placca da forno. Cuocere a 180° per circa 15-20 minuti. Per antica tradizione turca il primo assaggio spetta di diritto all’animatore del cineclub.

 

Hero
Nome e Cognome: Rita Colombo
Email: maurocole@tiscali.it
Commento:  Nonostante il mio amore indiscusso per le opere precedenti  di Zhang Yimou, ammetto di aver affrontato la visione di Hero con scarso entusiasmo: il ricordo di La Tigre e il dragone, che avevo votato come film peggiore nella stagione 2001-2002, mi induceva a pensare che il genere in questione, così lontano dalla nostra cultura e dai miei interessi, non avrebbe potuto riservarmi sorprese piacevoli. E invece mi sbagliavo, a dimostrazione del fatto che un regista di classe riesce a ottenere un risultato impeccabilmente perfetto, anche impegnandosi in un genere se vogliamo di serie B. Perfino i combattimenti danzanti, che avevo trovato insopportabili nel precedente film, sono riusciti a catturarmi (già l'espediente del duello solo pensato dà un tocco di classe), per non parlare dell'attenzione per i colori,  per le scene di massa, perfino per una goccia che cade: tutto contribuisce a rendere lo spettacolo raffinato, epico, a far dimenticare la nostra lontananza dalla cultura a cui  fa riferimento. Un confronto con Troy e Le crociate vede senz'altro vincente di gran lunga Zhang Yimou.

 

Sideways
Nome e Cognome: Francesco Rizzo
Email: genoa70@hotmail.com
Voto: 6
Commento:  Amici sanamente beoni gridano allo scandalo perche' in nessuna enoteca verserebbero vini diversi nello stesso bicchiere, come accade in questo film: non saprei, io mescolo solo birra e coca cola ma il problema e' un altro. Alexander Payne e' un regista a mio parere abile a rappresentare imbarazzi, inciampi e piccoli squallori quotidiani (o di una vita intera) di uomini goffi, patetici, tristanzuoli, sempre in rincorsa rispetto alle donne, destinati a percorrere, appunto, 'side ways', strade laterali. Bastano, mi pare, i primi dieci minuti di film, dal risveglio del ritardatario Miles sui titoli di testa alla macchina da presa che, spostandosi verso destra, inquadra sua madre che russa sul divano cosce al vento e quei tristi fiori da cartoleria dimenticati sulla tv, mentre i due amici fuggono. Punto. Il guaio e' che Payne, di percorrere 'strade laterali', non ha nessuna voglia e, del resto, e' un peccato dirlo, piu' i suoi film sono annacquati, piu' vincono Oscar e fanno notizia. Che questo signore avesse meno voglia di punzecchiare gia' si notava in 'A proposito di Schmidt', innescando il rimpianto per quel piccolo gioiello sconosciuto di 'Election', commedia nera su un insegnante di liceo che si rovina per cercare di fermare la corsa verso il successo di una studentessa con il dna dei vincenti (e, con lei, punire tutte le donne). 'Quel' Payne non aveva paura di mandare a rotoli la dignita' del suo protagonista, di farlo finire preso a sputi in faccia dai suoi ex-allievi, di girare con personalita', di tratteggiare squallori di provincia (case, persone, mentalita', panorami) a lui ben noti, essendo di Omaha, Nebraska, mica Los Angeles, California. 'Questo' Payne vuole piacere a tutti, chiudere il cerchio con una carezza che mandi a casa contenti, dopo una seconda parte di film in cui, piu' che farci ridere amaro, vuol farci sganasciare quasi come in un 'Amici miei III' all'americana. Dice di aver pensato a 'Il sorpasso'. Per favore, no. Buon per lui che Paul Giamatti e' un fior d'attore. Pero'...

 

La caduta
Nome e Cognome: Riccardo Moretti
Email: riccardo.moretti-9756@poste.it
Voto: 7
Commento:  "Se il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo, credo che egli l'abbia creato a propria immagine e somiglianza"(Fëdor Dostoevskij): un film coraggioso e corretto.

 

La sposa turca

Nome e Cognome: Francesco Rizzo
Email: genoa70@hotmail.com
Voto: 7,5
Commento: Melodramma al kebap su una coppia di turchi di Germania in fuga da se stessi. E destinati a non raggiungersi mai, anche se l'ultimo giorno da sposi dei due, quel guardarsi in volto dopo tanto tempo nel vuoto di una stanza d'albergo a Istanbul (come dire, finalmente noi e null'altro) e' la scena d'amore piu' intensa che abbia visto recentemente. Film d'amore e di come l'amore trasformi le persone e i loro comportamenti, leghi anche attraverso gli odori e gli oggetti, getti nel vuoto e ti tiri su. Ma 'La sposa turca' e' soprattutto il viaggio, narrato significativamente da un regista turco di Germania non meno dei suoi personaggi, in un'Europa in cui e' difficile distinguere Amburgo da Istanbul, dove le culture sono mescolate, come dimostra limpidamente la splendida colonna sonora, che passa dalla musica popolare turca a quella occidentale, lasciando spazio solo a tradizioni (il matrimonio secondo i canoni musulmani in Germania) e modelli (la cugina Selma che vive a Istanbul come una donna tedesca in carriera, palestra in casa ed Eurosport in tv compresi) che per i due protagonisti sono ormai gusci vuoti. Forse vale la pena fare un salto indietro, tornare dove si e' nati, ritrovare il filo perduto del discorso. Lui ci riesce, lei no. O, forse, si e' gia' trovata. Con buona pace di nonno Clint (ma dov'e' il capolavoro in 'Million dollar baby'?), questo e' secondo me il miglior film della rassegna fino a ora. Basti dire che quasi tutto quello che il Mulino Bianco alla greca di 'Un tocco di zenzero' dice in due ore e spiccioli con finale vietato ai diabetici, 'Una sposa greca' lo riassume in una scena sola, quella della cena con peperoni ripieni che finisce nel water. Comunque. Il miglior kebap di Milano lo trovate in via Padova, poco dopo Loreto, sulla destra. Buon appetito.

Nome e Cognome: Maurizio Careggio
Email: infinito49@libero.it
Commento: Un balordo alcolista senza arte ne parte e una vivace giovane volta ad emanciparsi dai genitori sono due turchi trapiantati in Germania con trascorsi tentativi di suicidio. Non basta? Lui sarà responsabile di un omicidio neanche tanto colposo e lei si darà a terzi con tanta frequenza quanta sbadataggine. Non male come ingredienti per assemblare, in un clima trucido, un film che narra di disperazione, di disordine, di violenza. Ce n'era bisogno?

 

Alla luce del sole

Nome e Cognome: Maria Grazia Tolfo
Email: mariagrazia.tolfo@rcm.inet.it
Commento:  Cosa resta alla fiction quando la storia è già stata scritta, il protagonista è un eroe civile e tutti conoscono il suo sacrificio finale? Si può scegliere il tipo di messaggio da veicolare agli spettatori – etico,spirituale, politico – oppure si può raccontare la biografia dell’eroe,facendone un esempio. Si può decidere una rigorosa attinenza ai fatti o ci si può indirizzare verso la costituzione di un mito. Lo spettatore deve sapere che quello sta ricevendo è comunque il messaggio del regista e non del protagonista della storia narrata. Nel film di Roberto Faenza Alla luce del sole passano una serie di messaggi che travalicano i limiti di una biografia: don Pugliesi non è diverso da monsignor Romero o da altri sacerdoti e missionari che si battono per la ricerca della verità e per la dignità di ogni essere umano in Africa o in Centro e Sudamerica.E’ un esempio, ma il film non è materiale per una futura agiografia.
I messaggi di Faenza sono in parte rivolti alla popolazione locale e italiana e in parte universali. Comincio da questi: l’educazione ai buoni sentimenti, per cui si parte dai bambini per evitare che da adulti l’intelligenza emotiva positiva sia atrofizzata e prevalgano solo emozioni negative. Il film inizia con la scena dei bambini che portano gattini al canile per darli in pasto ai cani da combattimento; bambini che si divertono a vedere i gattini sbranati e i cani martoriati nel duello mortale e si propongono come sadici esecutori finali del cane moribondo. Questa è l’educazione alla crudeltà necessaria per diventare da adulti assassini spietati. L’antidoto è la creazione di una rete di comunicazione positiva, con regole di convivenza sociale dure ma giuste, con il perdono e la comprensione come ricompensa per l’assunzione di responsabilità che significa consapevolezza.
La gioia e il divertimento: tutto il film – pur nella scontatezza del tragico finale – regala sorrisi, battute ironiche, atmosfere lievi come un battito di ali, persino nel sorriso finale di Pugliesi agonizzante. Niente violenza,
neppure per sostenere la morte di un giusto e suscitare indignazione, perché il messaggio deve essere di gioia e di amore.
Il messaggio etico: la mafia assicura posti di lavoro a una popolazione dimenticata dalle autonomie regionali e dallo stato italiano, ma in cambio regala una vita di miseria per i più, consumismo per chi fa carriera, paura, sottomissione e senso di separazione per tutti. La società sana vuole bambini felici, istruiti e educati al bello e al buono, futuri creatori di una società più giusta e vivibile, non necessariamente ricca. Povertà non è miseria.
Il messaggio politico: le amministrazioni, votate “democraticamente”, dovrebbero garantire a tutti - se non la felicità a cui tutti dobbiamo aspirare – la dignità di vita. I consiglieri comunali non sono i consiglieri d’amministrazione della mafia, ma sono i rappresentanti del popolo, per cui famiglie senza acqua, senza raccolta rifiuti, senza scuole materne o medie sono la dimostrazione del loro fallimento politico e della loro miseria. Per l’Italia dei G8 questo film è uno schiaffo morale, perché colloca i nostri governanti alla stessa stregua dei governi dittatoriali dell’Africa, dell’Asia o del Centro e Sudamerica. Per l’Italia dei giusti questo è un film che può parlare all’universo proletario e dare messaggi di speranza e condivisione.

 

Crimen perfecto
 

 

La schivata

Nome e Cognome: Maurizio Careggio
Email: infinito49@libero.it
Commento:  Il turpiloquio continuo ed invasivo appare prepotentemente come mezzo privilegiato per comunicare tra loro e descrivere al meglio il loro stato d’animo: sono gli adolescenti che vivono rumorosamente e non senza difficoltà nei cementati margini di una periferia, come tante, in una città della Francia odierna.
Originale la scelta del giovane Elkharraz che, malgrado il suo personaggio rechi onerose pene d’amore, spicca tra gli altri interpreti per la totale assenza di qualsiasi espressività e l’abituale goffaggine con cui assume ogni postura.
Non condivisibile neppure l’accanimento con cui si costruisce e si indugia sulla intollerabile cattiveria e prevaricazione con cui una pattuglia di polizia sembra illecitamente essere solita operare. Di più: il tutto confezionato risulta ancora più odioso poiché rivolto a dei ragazzi incolpevoli.
Un elogio, solitario, alla ben rappresentata figura dell’insegnante che, in un desolante panorama di solitudine, unica riesce con invincibile passione ad interessare i suoi allievi ad un testo di Marivaux, stimolarne la creatività e a coinvolgerne la più parte in impegnative prove destinate ad una rappresentazione teatrale dignitosa nel suo complesso a tratti emozionante e veicolo prezioso per vedere oltre gli angusti confini domestici.

 

 

Se mi lasci ti cancello

Nome e Cognome: Francesco Rizzo
Email: genoa70@hotmail.com
Voto: 8
Commento:  Pare che alcuni critici lo abbiano definito una masturbazione mentale. Si può solo rispondere con Woody Allen: “Non denigrare la masturbazione. È sesso con qualcuno che ami”. Difesa appassionata di Se mi lasci ti cancello, vero, piccolo gioiello se non per cosa dice, almeno per come lo dice. Lo sceneggiatore Charlie Kaufman riparte dal finale del suo Essere John Malkovich, quando l'attore americano in persona entra nel tunnel che conduce alla propria mente e viaggia dentro di sé, fino a rovistare (letteralmente) in cassetti oscuri: qui l'argomento e' però la memoria, il fatto che noi siamo ciò che, ridendo e piangendo, rammentiamo di essere stati. E che l’“eterna letizia delle menti candide”, quelle che non ricordano e non sono ricordate, è un disumano oblio, non il beneficio per l'umanità che immagina la bionda assistente innamorata. Ma il film di Gondry è anche una raggelata (tutt’altro che gelida) commedia sentimentale sulla “spazzatura” che ogni relazione si porta dietro, per chi accetta di andare avanti, fino a immaginare un amore che (ri)comici, come nel finale di Se mi lasci ti cancello, dalla mappa dettagliata di ciò che dell'altro si detesta (“Tutti devono imparare qualcosa”, ricorda il brano sui titoli). Ultimo ribaltamento di un film che, come Memento, gioca con la stessa capacità dello spettatore di “ordinare i file” della storia che sta seguendo: la pellicola comincia raccontando il risveglio di Joel dopo il trattamento Lacuna (bel nome, bella rappresentazione, i due “tecnici” sembrano idraulici inaffidabili, la fantascienza è già vita quotidiana), poi, dopo i titoli di testa, torniamo indietro al momento in cui Clementine lascia Joel e si fa cancellare i ricordi. Anche l'uomo si sottopone allora al trattamento ma durante l'intervento cambia idea, vuole ricordare comunque, mentre il film diventa uno (splendido) viaggio nella sua memoria, un cammino a ritroso nella sua relazione con Clementine, dal colpo sulla por tiera dell'auto al colpo di fulmine sulla spiaggia. I volti scompaiono, la ricostruzione degli eventi si confonde (dove era parcheggiata la macchina?), gli stati d'animo vengono rappresentati dalle immagini: Joel, colto dalla madre in un momento di intimità vietata, prova il gelo dell'imbarazzo e subito dopo lui e Clementine finiscono in una distesa di ghiaccio… Se mi lasci ti cancello è un film che fa venire fame di guardare, voglia di restare attaccati allo schermo per capire e scoprire (o anche solo per innamorarsi di Kate Winslet). Jim Carey è formidabile nel ruolo opposto a quello che lo ha reso celebre, facendosi figura triste e grigia, con maglioni improbabili e il colletto sempre metà dentro e metà fuori.

 

Mare dentro
 

 

Quando sei nato non puoi più nasconderti
 

 

Les choristes
 

 

Hitch
 

 

Viridiana
 

 

La fiera della vanità
 

 

2046

Nome e Cognome: Maurizio Careggio
Email: infinito49@libero.it
Commento:  
Difficile definire scorrevole questo "2046" che risulta sia lentissimo nelle sequenze sia tendenzialmente immobile su un protagonista sciupafemmine dal sorriso inconsapevolmente estasiato, dalla sigaretta perennemente accesa, disposto a stranezze e amorazzi, che consuma ossessivamente la propria esistenza in un albergo di quart'ordine dalle pareti troppo sottili e dai frequentatori improponibili. Girato quasi esclusivamente in interni disadorni, i rari luoghi esterni richiamano frugalità e simbolismo da interpretare.
Come se tutto ciò non fosse bastevole, in assenza di presente, il passato e il futuro si sovrappongono creando non pochi problemi di lettura all'incauto spettatore.

 

La storia del cammello che piange
 

 

La diva Giulia
 

 

Lo scopone scientifico
 

 

La morte sospesa
 

 

Il mercante di Venezia
 

 

Ferro 3
 

 

La vita è un miracolo
 

 

Kung Fusion
 

 

La samaritana