gli
animatori lo hanno visto così : BENE
COSI’-COSI’
MALE
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TULPAN |
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DOM pom |
DOM sera |
MAR |
MER |
GIO |
VEN |
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precedenti
roberta
braccio |
domenica
pomeriggio |
Credo sia innegabile che un film come Tulpan abbia la capacità
di spalancare una finestra (anzi un portone!) su mondi pressoché sconosciuti,
per questo è sicuramente apprezzabile l’intento e anche la distanza
culturale nel raccontare, ad un estraneo, il proprio mondo. Tuttavia, sarà
perché noi del Cinecircolo siamo abituati troppo bene, trovo che il film si
perda in un virtuosismo descrittivo (sicuramente interessante) a discapito di
una sceneggiatura che, come Tulpan, si intravede ma non c’è. Omaggio
indiscusso al proprio paese d’origine (la terra dei tulipani, appunto),
accende a mio avviso una curiosità più “geografica” che
emozionale. |
giulio
martini |
domenica
sera |
Dopo che "Borat" di Sacha Cohen ha sconciato l'immagine
(per altro piatta) del Kazakistan, questo coraggioso film - così
simile ma anche così diverso - dagli altri che ci arrivano dall'Asia
profonda, è la tenace storia di gente che vuole comunque sopravvivere
nel suo territorio. Tra i molti interpreti spiccano anche gli animali ( dal
cammello, alle pecore, alla tartaruga fino al … "cavalluccio"
del bimbo) che sono filmati con somma intelligenza per dimostrare che il
"cordone" ombelicale ( simbolo fisso della pellicola anche
sotto forma di "tubo" per fornire l'acqua, tubicino per far partire
la motocicletta…) è quell' essenziale vitale che lega in un
tutt'uno senza separazioni ( come la tenda senza pareti interne )
terra, persone e bestie. Solo quando il protagonista fa l'isterico
capisce il ruolo di questa soliadrietà multipla, e si acquista i galloni di
vero uomo della steppa, da improbabile "marinaio del deserto " che
era. |
angelo
sabbadini |
martedì
sera |
Colpisce nel film di Sergei Dvortsevoj la
capacità di muovere con assoluta naturalezza nelle desolate e brulle distese
del Kazakistan uomini e animali in un lineare e riuscito intreccio che regala
scene impagabili.Godibilissima la sequenza del veterinario e del suo
conflittuale rapporto con il cammello dietro la quale s'intuiscono le
precedenti esperienze documentaristiche del regista kazako dedicate al mondo
circense. |
carlo
caspani |
mercoledì
sera venerdì
sera |
Tulpan Un po' documentario, un po' comico, un po'
dramma, |
marco
massara |
giovedì
sera |
Il confronto fra città e campagna, ma
soprattutto tra concretezza e mito si coniuga felicemente in Tulpan ; il film lavora soprattutto
sulle assenze/presenze: da quella esplicita della ragazza, al mondo esterno
evocato dal bambino sempre attaccato alla radio, al cugino
‘camionista’ che porta sul parabrezza una immagine
semipornografica delle ‘tre grazie’ di Raffaello, alla
‘città ‘sempre evocata e mai vista. Asa vive la tensione tra il proprio
desiderio di crescita ed emancipazione
(stupenda la sequenza del parto dell’agnellino dopo che il cognato gli
ha dato del “bamboccione” (Brunetta assistente alla
sceneggiatura? )) e le ansie di modernità (altrettanto geniale
la trovata del bambino che trasforma la tartaruga in una automobilina e fa
‘brumm brumm “ !). Alla fine dà l’addio al suo sogno
iniziale di equilibrio (la tenda “ranch” con TV e pannelli
solari), ma soprattutto rinuncia al mito di Tulpan e della
‘città’, preferendo la polvere della campagna ai grattacieli di
Astana, la modernissima , lontana (ed effimera?) capitale costruita sui
petrodollari. Se gli altri film
‘asiatici’ delle scorse stagioni erano stati guardati con
l’ occhio benevolo con cui si guarda una favoletta, Tulpan si guarda con un ‘certain
regard’ molto più ‘politico’ e quindi più coinvolgente. |
giorgio
brambilla |
venerdì
sera |
giorgio questa settimana
stato sostituito da carlo |