gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            QUASI BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            COSI'-COSI'-COSI'

                                                            MALE

                                                

E' STATO IL FIGLIO

 

 

DOM  pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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roberta braccio

domenica

 pomeriggio

E’ stato il figlio, recita il titolo come a citare una battuta che invece non si sente in tutto il film: un’accusa, che suona di congiura, ma anche di una storia raccontata a mezza voce. E’ proprio il racconto, lo stile narrativo scelto per questo ottimo film che mostra cinicamente e senza assoluzione una società irresponsabile e fuori controllo, dove non c’è morale, non c’è bellezza, non c’è poesia, dove la logica è solo di salvare la pelle e la faccia. Un gioco perverso in cui vige la legge del più forte, in cui il più debole – che sia un bambino escluso, che sia un ragazzo un po’ strano – soccombe nell’accettazione di essere diverso. La devastazione apocalittica del finale, tra le macerie del brutto e del cattivo , non lascia spazio ad una possibile rinascita o redenzione, ma solo un ghigno storto per una storia destinata ad orecchie che non possono sentire. Ci vuole coraggio a non accattivarsi il pubblico, ci vuole tenacia per credere in un film piccolo che racconta una storia brutta e cattiva e ci vuole un grande attore per poterlo portare a termine con coerenza e credibilità. È straordinario che ci sia ancora qualcuno che fa tutto questo.

carlo caspani

domenica sera

Narrazione in forma di favola tra grottesco e tragicommedia: una allegoria di dissoluzione sociale e umana in nome di un benessere che in realtà agli ultimi non spetta mai. Da solo o in compagnia, Ciprì è lucidamente disturbante quanto efficace: riesce perfino a "tenere in riga" un Toni Servillo volutamente sopra il rigo nella sua caratterizzazione.

angelo sabbadini

martedì sera

Daniele Ciprì, orfano del sodale Francesco Maresco, non si scompone e chiamati a raccolta i collaboratori di sempre affronta l’impresa più difficile della sua carriera: mettere in scena un’opera su commissione apparentemente lontana dal suo cinema di mattanze. Come prima cosa illustra il romanzo di Roberto Alajmo con i colori rugginosi della sua iconfondibile fotografia poi guida con superbo mestiere una folgorante squadra di attori da un incipit da commedia sgangherata verso un indimenticabile epilogo tragico di straordinaria forza straniante. Quello che si apprezza è il rigore di un approccio che diventa stile compiuto e maturo e che consacra un autore.

giulio martini

mercoledì sera 

 traslucido atto di accusa contro una mentalità che riemerge di continuo in Sicilia: si vive di espedienti, di attese rocambolesche, di sfuttamento intensivo del crimine. Una volta tanto nella calura dei racconti isolani non si parla di onorabilità e di sfrenate passioni amorose, ma di noia becera, di eterna abulia, di inettitudine assoluta tranne che nel tramare e nel
l'inventare raggiri multipli. Girato nel rigore di uno spietato cinismo visivo - e sonoro - e con dolente sconsolatezza questo è un film magnifico che i conterranei del regista praticamente non hanno ancora visto né vedranno mai . Peccato ! Perchè nella sua coraggiosa presa di posizione - stilistica ed morale - è una pellicola memorabile e assolutamente innovativa, dove lo sguaiato colpo di scena finale è ben giustificato dall'accumulo di provocazioni dell'intero racconto.

fabio de girolamo

giovedì sera

Si apprezza la coerenza del progetto di Ciprì. A livello stilistico tutto ruota intorno alla soggettiva di Tancredi, aperta sul passato come una sorta di sogno a occhi aperti che sconfina senza soluzione di continuità nel presente (come se l’incubo non fosse mai finito). Da qui la rappresentazione stilizzata e grottesca dei personaggi in un’ambientazione onirica e surreale, con l’unica differenza data dal ritmo della messa in scena, che segue nel passato il fare impulsivo e iperattivo di papà Nicola per arenarsi nel presente nella depressa inerzia di Tancredi.
Quella di Nicola potrebbe essere definita (citando Bertolucci) la tragedia di un uomo ridicolo, incapace, nonostante la prosopopea, della ben che minima decisione che non sia del tutto insensata (vedi Mercedes). Una tragedia a rovescio, in cui non è il destino avverso a segnare le sorti del protagonista, ma il suo stesso inetto agire.
giorgio brambilla venerdì sera Daniele Ciprì mette in scena una realtà mostruosa con una forma assai ricercata, accuratissima nella scelta delle inquadrature, dei movimenti di macchina, delle musiche, delle soluzioni comunicative, dei personaggi principali e delle figure di contorno, costruendo un testo che racconta una tragedia, ma insieme “distrae” lo spettatore, impedendogli d'identificarsi troppo e lasciandogli quindi la lucidità adeguata per giudicare quanto avviene. Il risultato è un racconto che mescola sapientemente squallore e raffinatezza, dramma e commedia, che ritrae la Sicilia con tutti i suoi difetti elevandosi ad un livello di astrazione tale da rendere il testo di portata universale. Il tutto viene ulteriormente impreziosito da un cast di attori in forma smagliante. Il risultato è davvero notevole, nonostante l'umanità raccontata sia rappresentativa di una “grande bruttezza”