gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            QUASI BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            COSI'-COSI'-COSI'

                                                            MALE

                                                

PROMISED LAND

 

 

DOM  pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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matteo mazza

domenica

 pomeriggio

La terra promessa di cui Gus Van Sant ci racconta ha un nome e un cognome: McKinley in Pennsylvania. Il regista quindi sceglie di raccontare una storia collocata in un dove ben definito e in un quando, il nostro tempo presente, interpellato a diventare futuro. Questo è un film sulla terra, innanzitutto, e su una promessa. Certamente meno sperimentale e più lineare di altri suoi film, Promised Land non può però essere ridotto e banalizzato soltanto perché appartenente al genere degli eco-movies (cioè i film ambientalisti di cui fanno parte titoli come Essere Erin Brochovich o Michael Clayton) perché: offre uno sguardo prospettico sull'umanità che abita e coltiva questa terra, perché è sensibile nel ritrarre il paesaggio (che non è uno sfondo, o una piatta cartolina), perché ci sono almeno due colpi di scena che alterano il ritmo della vicenda. C'è un'immagine che racconta tutto il film. Il faccione di Matt Damon in primo piano che si sovrappone alla bandiera degli USA. Ecco, Steve Butler è su quella bandiera perché ne incarna i valori. Ma "valori" e "prezzi" non hanno lo stesso senso, uguale significato, non vanno nella stessa direzione e, come più volte ci suggerisce Van Sant, quella di Butler sarà una vera e inaspettata e profonda conversione. Il solo gesto del lavarsi le mani ripetuto due volte, in apertura e in chiusura, assume significati opposti. E comunque in un film banale avrebbero vinti i buoni. Qui, alla fine, insomma, chi vince? Per non parlare poi di quel corvo nero che dall'alto osserva e del diluvio universale che si abbatte sulla fiera. Sì, sì, è proprio un film biblico.

giulio martini

domenica sera

Se in Italia non esiste un filone "ecologico"al cinema ( tranne le generiche posizioni pro - Natura di Olmi ) negli USA, sul grande schermo, senso Democratico e lotta per l'Ambiente vanno assieme da un paio di decenni, come ai tempi di Frank Capra succedeva per la partecipazione civile opposta alla sporca speculazione capitalistica. Il film - in un confronto global /local, che non può non rinviare al portoghese "Aqualtas"- intreccia abilmente due percorsi narrativi: la conversione del venditore alle tesi della gente e il suo incontro/abbandono /re-incontro con la bella single del Villaggio ( qui contapposta alla non bella collega single). Se il secondo percorso è quello classico di Hollywood per ottenere un buon risultato al botteghino, il primo è un poco più originale, dato che la rapida conversione del protagonista è motivata, più che altro, dalla scoperta di essere stato "gabbato" dalla sua stessa Azienda,molto più abile e cinica di lui nel gioco con gli interlocutori. Il risulato è un film già visto, eppure anche insolito, cauto, ma anche intelligente e propositivo. Soprende e piace la moderazione dei toni su un tema difficile. Ma si ha nostalgia della grinta anni' 80 o almeno degli slanci sociali e umoristici delle pellicole del "New deal".

angelo sabbadini

martedì sera

Cosa differenzia Promised Land dai gasmovie che denunciano i crimini contro l’ambiente? Il tono appunto, che, lasciati da parte dogmatismi e febbrili radicalismi, si concede una riflessione problematica sul destino della rurale cittadina di McKinley. A portare a compimento l’impresa è un regista come Gus Van Sant impegnato come non mai a frenare le proprie inclinazioni autoriali e tutto proiettato a tradurre nel modo più lineare possibile la sceneggiatura della coppia Krasinski/Damon. Il risultato è sicuramente meritevole di attenzione ma privo secondo i visionari del Bazin di un’autentica originalità espressiva.

carlo caspani

mercoledì sera 

Crisi economica, sfruttamento delle risorse naturali, tutela dell'ambiente, potentati economici, fracking e yuppie: e la terra promessa della provincia americana rurale rischia di esplodere. Un Van Sant per conto terzi, ma che non rinuncia a tematiche tutte sue, come sempre con un ritmo adatto all'ambiente che va descrivendo.

marco massara

giovedì sera

Una rivisitazione felicemente attualizzata del classico cinema ‘liberal’ ('delle buone intenzioni', dico io) americano: a differenza delle forme più classiche – il riferimento più immediato è con “Erin Brockovich” ‘ dii Steven Sodebergh – i ‘buoni’i e i ‘cattivi’ non sono più dichiaratamente riconoscibili e schierati, ma nonostante tutto alla fine appunto le ‘buone intenzioni’ raggiungono lo scopo. Chiamato ad un ruolo di ‘semplice’ esecutore su script e produzione di Matt Damon, Gus Van Sant ci mette del suo con delle efficaci marche autoriali: l’acqua sporca attraverso la quale vediamo la faccia tirata di Steve e le riprese aeree a piombo che sembrano tenere la vicenda sotto un controllo ‘global’ ,salvo poi andarsene in allontanamento quando la storia ha avuto il suo giusto 'lieto' fine. Piccole note che portano un segno di attualità ad un filone ampiamente collaudato. Onore e gloria alle 89 primavere di Hal Holbrook (il vecchio professore) stupendo caratterista del cinema USA !!!
giorgio brambilla venerdì sera Van Sant, Damon e Krasinski pongono una domanda attuale e importante: l'energia del gas è davvero pulita come si dice? Dato che la questione è assai recente, scelgono di non fingere di avere risposte, ma di rendere lo spettatore consapevole dei problemi ad essa connessi, relativi alla salute e alla manipolazione dell'opinione pubblica. Per questo usano un protagonista carico di dubbi e non dicono l'esito della votazione finale, spostando il discorso dal piano della politica a quello dell'etica individuale. In più mettono bene in evidenza la non facile situazione della provincia americana al tempo della crisi, costretta a scegliere tra una povertà certa ed una rischiosa possibilità di riscatto. Un'impostazione onesta, supportata da una forma del discorso adeguatamente efficace. Peccato che, per evitare le risposte troppo assertive, si limitino ad una difesa degli Antichi Valori attraverso qualche luogo comune dell'etica capitalista protestante, incarnata esemplarmente dalla piccola venditrice di limonate, e che il personaggio principale risulti un po' debole. La capacità di coinvolgere lo spettatore e la complessità dell'argomentazione non risultano all'altezza delle intenzioni.