gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            QUASI BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            COSI'-COSI'-COSI'

                                                            MALE

                                                

 DJANGO  UNCHAINED

 

 

DOM  pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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matteo mazza

domenica pomeriggio

Tarantino segue la strada intrapresa con INGLORIOUS BASTERDS (insieme a Pulp fiction e Le iene, per me, il suo top) ovvero quella strada che conduce il suo cinema verso il Cinema perché sceglie di raccontare una storia che si confronta con la Storia per ribaltarla, distruggerla, spazzarla via, bruciarla da cima a fondo. DJANGO è un film di rivalsa, di libertà, di riscatto sociale, una messa in scena dei valori, un teatro degli orrori, una-presa-per-il-culo del razzismo (gli incappucciati del Ku Klux Klan), una ribellione che esaspera i toni del conflitto rendendoli ancora più spettacolari, ancora più splatter, ancora più carichi di senso. Perché in questo modo il Cinema è potente. Segue talmente bene BASTERDS che sembra non aggiungere nulla di nuovo. Un film western in cui si ascolta musica rap, dove si cavalca velocemente per andare a salvare la propria bella, dove si salta in aria con la dinamite, dove si esplode per colpa di un proiettile, dove gli schiavi (all'inizio) camminano come zombie ma poi risorgono, dove ci sono mostri dietro ogni angolo. E infatti questo è il film più horror di Tarantino, quello più sporco e cattivo, pieno di fango, pieno di brandelli di carne, pieno di sputi, pieno di improvvisi e clamorosi e sorprendenti uscite di scena. E forse anche quello più trattenuto, calcolato, involontariamente più acceso nella prima parte che nella seconda. E poi il finale. Con King Shultz che dice "non ho resistito" - è lui l'alter ego di Tarantino. con Django che si abbassa gli occhialini (un gesto che è beffardo, simbolico, sintetico, estetico, futuristico, profetico) e sfodera l'ultimo colpo: un ghigno che suona come una promessa, l'America sarà migliore. Il film più comico di Tarantino, quello più romantico, quello più sentimentale. Ma quanto è autoreferenziale? Sui titoli di coda (rossi come il Django di Corbucci) si ascolta pure "Lo chiamavano Trinità". Giusto per citare un classico.

giulio martini

domenica sera

film gaglioffo e finto-sgangherato nella serie di questo regista geniale , che si diverte nell''imbastardire ( recitazione a birignao, vicende e colori esagerati, personaggi da fumetto) i generi classici e immortali del cinema americano. La
poltiglia di situazioni, battute, gesti e sentimenti dissacranti sembra accumulare un cinico letamaio visivo ed acustico , ed invece ne nasce un film pieno di vitalità, di entusiasmi, di desideri genuini.
Tarantino con il cinema ci sa fare anche se è un inguaribile ragazzacci
o.

angelo sabbadini

martedì sera

Tarantino ci ha preso gusto: dopo “Bastardi senza gloria” continua con grande
godimento a prendersi delle ghignanti rivincite sulla storia. Questa volta con
“Django” prende letteralmente a fucilate il razzismo dell’America profonda. Il
tutto mixando con baldanza e con qualche equivoco (vedi Spike Lee) stile comico e tematica seria, rovesciando con piacere infantile temi e motivi western (il cavaliere pallido diventa un vendicatore nero, ecc.) e giustificando l’
operazione come un omaggio all’indimenticato Corbucci. A fine corsa l’
inverosimile congegno funziona pur con una eccessiva lunghezza e con diverse invenzioni troppo programmatiche.

carlo caspani

mercoledì sera 

Tarantino scatenato in tutti i sensi con il suo Django, vero miracolo di Cinema. Ovvero, come partire da un Corbucci di serie B e farne un film di serie A con attori scolpiti nella roccia, gag visive, ospitate (Franco Nero) e citazioni a palate (compreso l'odiato, a dir del regista, John Ford), in una love story di redenzione dalla schiavitù dove il truculento scorrere del sangue è, alla fine, la necessaria salsa di pomodoro per gli spaghetti: western, appunto..

fabio de girolamo

giovedì sera

C’è un abisso, ormai, tra il primo Tarantino e i film che gira oggi. I personaggi di Django Unchained, il protagonista in particolare, nascono servi sottomessi come quelli di Pulp Fiction, ma hanno ormai la forza di essere coscienti della propria condizione e di uscirne attraverso un processo che vede nella vendetta l’atto della definitiva emancipazione dal passato. Da statici e annoiati mestieranti del crimine a eroi da leggenda (lo sguardo ammirato dello schiavo liberato su Django con cavallo, fucile e dinamite che si allontana nel prefinale del film mi sembra esplicito a riguardo). Il tutto in un contesto dove la peculiare forma di “antinarrazione” del primo Tarantino (azione fuori campo in Le iene, tempo anacronico, situazionismo e dialoghi non pertinenti in Pulp Fiction) viene sostituita da una linearità narrativa degna di John Ford condita con abbondante manicheismo di fondo.
Insomma, il regista mira al grande spettacolo cinefilo, al racconto epico e morale, ma a prezzo di un processo di normalizzazione per cui i suoi risultano alla fine molto più ottimi film di genere che personali opere d’autore. Sarà un pregio?
giorgio brambilla venerdì sera Questa settimana giorgio è stato sostituito da giulio