gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            QUASI BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            COSI'-COSI'-COSI'

                                                            MALE

                                                

 UN GIORNO DEVI ANDARE

 

 

DOM pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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matteo mazza

domenica pomeriggio

Film sull’andare e cercare più che sul viaggiare e trovare, fatto di intrusioni domande vuoti da riempire, questo è un film di acqua, fiumi in piena, pioggia, passaggi e spostamenti, parola e rabbia, giustizia e male. Film di silenzio che smarrisce la sua forza e stempera la tensione e allontana dalla compassione (e forse, purtroppo, dalla credibilità della protagonista) quando ricorre al dialogo per rendere la narrazione più fluida, esplicita. Non era necessario perché la resa a volte è goffa, ricalcata, poco riuscita ma, accontentiamoci, è già un miracolo che un film così sia stato pensato/prodotto/realizzato/distribuito. Pur trovandolo meno appassionante dei primi due, questo terzo film conferma la profondità di sguardo di Giorgio Diritti, regista capace di proseguire, con forme rinnovate, il personale percorso di indagine sull’umano spesso ridotto a oggetto del consumo.

giulio martini

domenica sera

originale viaggio metafisico /ecologico/ sociale di una giovane agguerrita militante (un' Amazzone ?) tra crisi religiosa - senza idea del peccato - , crisi marxista - senza idea della globalizzazione - e molti dubbi sulla presunta bontà della Natura. Splendide ambientazioni, corretta documentazione ( un po' datata sul mondo missionario...), lucidità socio-politica, domande lancinanti e profonde, ma il desiderio eccessivo di tenere tutto collegato e di salvare tutto ( comunità - spiritualità - impegno ambientale) sotto una vistosa simbologia materno / femminile sfocia in un finale aggrovigliato, solenne e tortuoso come il fiume sudamericano. Diritti ha fatto di meglio, tuttavia il risultato conferma le sue capacità e la sua indipendenza.

angelo sabbadini

martedì sera

Un film può vivere solo d’intenti programmatici?” si chiedono i visionari del
martedì. Evidentemente no, deve innanzitutto maturare una forma, un linguaggio, un’ipotesi narrativa conseguente. Giorgio Diritti fatica a dare un centro, una forma alla sua navicella: punta coraggiosamente le sue carte su un’attrice ancora acerba e si affida speranzoso alla “spettacolare bellezza della natura”.
Ma la navicella stenta a prendere il largo tra le secche della narrazione e il
risultato è solo parzialmente raggiunto.

carlo caspani

mercoledì sera 

Ambizioso Diritti: questa volta corre a doppio binario tra Italia e Brasile, tra ricca provincia e favelas, missioni, fiumi e spiagge infinite in un viaggio necessario di fuga dal dolore, dal senso di inutilità, dalla mancanza di un dio qualsiasi al quale chiedere conto, o aiuto, o consolazione. Tra religiosi ingenui o affaristi, comunità che si disgregano dall'interno per ignavia e interesse, con un finale necessariamente irrisolto tra spiritualità pagano e un bambino, o il
sogno della sua presenza, che riesca a ridar senso alla vita.

fabio de girolamo

giovedì sera

C’è una ricorrente tendenza, nel cinema italiano di oggi, a porre in campo personaggi che si trovano a disagio nella società (quella cosiddetta occidentale) in cui vivono e cercano, di conseguenza, di difendersene. Lo faceva Virgil, nel film di Tornatore visto due settimane fa, richiudendosi nevroticamente nella misantropia. Lo fa Augusta abbandonando tutto e tutti per un luogo altro, lontano dalla modernità occidentale. Ancor più curioso, in verità, e più anomalo, è l’atteggiamento pessimista con cui i registi ritraggono entrambe le scelte opposte per risolvere la tensione: la riconciliazione e l’abbandono di qualsiasi forma di vita comunitaria.
Della prima forma di risposta abbiamo già parlato a proposito di Tornatore. Quella di Augusta è una scelta più estrema: abbandonare qualsiasi forma di cultura per trovarsi, sola, al cospetto della natura. La sua ricerca di una autenticità pura si risolve in realtà in un abbandonarsi, in un diventare polvere, o sabbia, parte della natura stessa.
Insomma non abbiamo scampo, per i cineasti italiani: siamo destinati a morire integrati, scontenti e mediocri.
giorgio brambilla venerdì sera Giorgio Diritti ci regala ancora una volta un film rigoroso, che non indulge alla spettacolarizzazione e lascia lo spettatore libero di giudicare quanto vede accadere di fronte ai suoi occhi. Ci mette accanto ad una ragazza che, in seguito ad una serie di scacchi, è costretta ad abbandonare progressivamente le sue certezze per arrivare ad essere sola nella natura, in balia degli elementi, con la sua Domanda sull'esistenza sempre più forte ed essenziale. Tutto il resto che viene mostrato, dalla chiesa da “primo mondo” alla presunta solidarietà del “terzo”, non è in grado di fornire una risposta. E allora non resta che cercare ancora, con un po' più di speranza nel cuore. Ci vuole coraggio, sia per portare avanti questa ricerca, che per girare un film così poco incline a soddisfare il bisogno dello spettatore a confrontarsi con una struttura narrativa definita, una morale chiara, delle risposte rassicuranti. Un cinema così, tanto più nell'omologato contesto contemporaneo, è raro e prezioso. Complimenti .