gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            QUASI BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            COSI'-COSI'-COSI'

                                                            MALE

                                                

NO - I GIORNI DELL'ARCOBALENO

 

 

DOM  pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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matteo mazza

domenica

 pomeriggio

Bellissimo esempio di cinema a servizio della coscienza (civile, politica, ma non solo...), capace di creare un vero shock emotivo e visivo nello spettatore di oggi che guarda al film come se fosse di ieri. In realtà (appunto, in realtà) il film è di oggi ed è capace di ricreare il passato e di ribadire che la memoria è fondamentale per andare avanti. E poi è un film beffardissimo, acidissimo, fortissimo. Non però malinconico né nostalgico. Perché beffardo? Bhè, se è vero che il Cile guarderà al futuro, come si sente dire, allora, forse, è anche vero quel che si legge su quella bibita all'inizio "Free". Il Cile si è liberato da una dittatura, ma la libertà, in futuro, forse, non sarà totale...

giulio martini

domenica sera

 Il  linguaggio spoglio e documentaristico, al limite della modestia, ci offre un racconto riuscito nei sui intenti più nobili ( dimostrare la bestialità del regime, il ruolo decisivo della TV nell'orientare l'opinione pubblica, l'importanza di far sperare più che di lamentarsi, anche in politica...) ma crea qualche sensibile problema percettivo. E' comunque ben dibattuto il tema - non originale negli USA, ma di certo nuovo per il Sud America e di sicuro drammatico nel caso della battaglia contro una dittatura feroce - della possibile "vendita" in termini pubblicitari di un messaggio, dove dovrebbe alere il famoso "contenuto".
L'emotività la vince sempre nell'Audiovisivo ? La politica è inesorabilmente Spettacolo ? Il film oscilla tra serietà professionale e sparsi dubbi etici . Ed assume una posizione positiva e negativa allo stesso tempo. Oppure la pellicola è, in realtà, una disincantata riflessione valida per tutto il Cinema, cioè per qualsiasi comunicazione rivolta alla massa, a prescindere dallo specifico ed esemplare caso cileno ?

angelo sabbadini

martedì sera

Cosa lascia perplessi nell’ultimo film di Pablo Larrain? Ottimo il soggetto, bravi gli attori, assolutamente apprezzabile l’intento civile…tuttavia imbarazzano le scelte stilistiche. Perché scegliere un approccio così volutamente e esplicitamente dilettantesco? Le panoramiche programmaticamente improvvisate e la mancanza di una solida struttura narrativa trasformano una ghiotta occasione in un clamoroso atto mancato. Peccato!

carlo caspani

mercoledì sera 

Virtuosismi tecnici per raccontare un pezzo di Storia degli anni Ottanta con gli stili, i colori e le imperfezioni tecniche di allora (a cui si aggiunge una copia del film in condizioni inaccettabili, giusto per complicare le cose): Larraìn racconta la prima volta in cui davvero, grazie al linguaggio della "réclame", ci fu vittoria politica senza parlare di idee, ideologie o ideali. Forse è per questo che in
Europa, e molto anche da noi, il film ha colpito ed è piaciuto, e a quanti è giunta l'ambiguità del messaggio finale (il "nuovo mondo" del Cile è una telenovela che strizza l'occhio a Jamesbond, sul tetto di un grattacielo...)?

marco massara

giovedì sera

“NO” apre una finestra sull’universo del cinema sudamericano purtroppo troppo ignorato dalla distribuzione e RIAPRE una finestra sul cinema di denuncia e socialmente impegnato. Volutamente povero nella rappresentazione – bellissime le didascalie iniziali – e spregiudicatamente ricco di tutti gli errori di ripresa e sync che i manuali di cinema raccomandano di evitare, accompagna lo spettatore nella vicenda del referendum anti Pinochet, mescolando abilmente filmati di repertorio e scene girate ad hoc pressoché indistinguibili dai primi. E rivelando in fondo la conclusione gattopardesca: molto è cambiato ma molto rimane come prima come mostrano i due agghiaccianti spot 'in linea con l'attuale contesto sociale' che aprono e chiudono il film. E il bravo pubblicitario non riesce ad esultare.
giorgio brambilla venerdì sera Pablo Larrain prova ad immaginare come sia stata impostata la campagna per il “no” al referendum che ha tolto il potere a Pinochet, inventando un pubblicitario non privo di ambiguità che ne sarebbe stato la mente. Ci offre quindi un testo “veramente falso”: da una parte recupera la macchina da presa usata all'epoca, con schermo di formato 4:3, tipicamente televisivo, facendo recitare, venticinque anni più vecchi, molti di coloro che sono stati protagonisti di quel momento; d'altra parte mostra che quello che stiamo vedendo è una ricostruzione, sia appunto contrapponendo ai filmati dell'epoca i loro interpreti invecchiati, sia usando un suono così evidentemente fuori sincrono che non si può non esserne disturbati. Così svela che ciò che stiamo vedendo è fiction, esattamente mentre reinterpreta il “dibattito ideologico” tra le due parti come una lotta senza esclusione di colpi tra pubblicitari. Questo smitizza quel momento e insieme mostra di che sostanza sono effettivamente fatti quei sogni che costituiscono un dibattito politico sui media. Un film duro e intelligente, che produce nello spettatore un lucido disincanto e dà a quella vittoria un sapore un po' più amaro.